martedì 2 maggio 2017

Un giro in paradiso

Mi hanno regalato un giro in paradiso. Perché se esiste, per me, sarà così. Lassù dove ci sono solo le cime delle montagne, il silenzio e i ghiacciai. Là dove l'uomo può solo ammirare la bellezza pura della natura e rendersi conto della sua infinita fragilità.

Mi hanno regalato un giro sull'ottava meraviglia del mondo. Così si autodefinisce la Skyway, che in venti minuti (volati in un secondo) ti porta dai 1300 mslm di Courmayeur ai 3466 sulla catena del Monte Bianco. E, sicuramente, ci sono posti nel mondo in grado di rubarle il titolo ma per me lo è stata davvero una grande meraviglia.
Alle nove del mattino saliamo su questa avanzatissima ovovia, che ha due tappe e due campate. Durante il viaggio, l'ovovia gira su se stessa lentamente in modo da permetterci di vedere tutti gli scorci della montagna. E prima delle nove e mezza siamo su. Ci siamo noi, qualche sciatore e qualche alpinista in partenza per un'escursione in cordata.

 Ha fatto brutto tutta la settimana precedente. Farà brutto il giorno dopo. Ma quella giornata è tersa che sembra luglio. Niente vento, niente nuvole. Arriviamo in cima e guardare le Alpi mi commuove. Senza quella tecnologia, io, in quel posto, non sarei mai potuta andarci. Men che meno in questa stagione, che per salire ci vuole esperienza e attrezzatura e anche così non è roba per camminatori occasionali.

Io non ho mai amato i libri che parlano di montagna, tolte alcune eccezioni, ciò nonostante ho subito pensato a quale incredibile meraviglia deve essere stato, per tanti alpinisti, salire lassù e ancora più in alto con le sole proprie forze. Arrivati in cima al mondo, lassù, ho potuto immaginare quanto la loro fatica sia stata ripagata da uno spettacolo che, soprattutto se te lo sei guadagnato passo dopo passo, ti fa sentire microscopico e onnipotente allo stesso tempo.


Fino alle undici non ho fatto che ammirare quello spettacolo, scattando mille foto che non renderanno mai l'emozione che ho provato. Oltre a non essere un'alpinista non sono neppure una gran fotografa, diciamocelo.

Poi, a 3466 metri (un po' meno della cima del nostro Rocciamelone) è salito una mezza umanità e la punta Helbronner è diventata affollata come il prato del rifugio Amprimo nelle belle giornate di luglio. E non ci sarebbe nulla di male se chiunque si approcci a quel luogo ne avesse il dovuto rispetto.
Invece, renderlo accessibile lo fa meta di ogni sorta di persone: ragazzine che salgono in ciabattine, genitori con bambini appena nati, signori e signore con evidenti difficoltà di salute anche in pianura e via dicendo. Persone che si siedono al sole come fossero a Sauze d'Oulx e quelle montagne quasi non le vedono.

Io che mi sono rifiutata di uscire sul ghiacciaio, pur attrezzata da montagna, vista la mia inesperienza, da un lato; la signora che fa saltare il crepaccio sul ghiacciaio al bambino, tenendolo per mano (raccontato di prima mano da un gentilissimo ragazzo del personale), dall'altra.

A 3466 metri è già faticoso fare le scale se non si è proprio abituati. Tutto stanca più in fretta. Bisogna avere fisico e cuore. Prendere quell'ovovia è come salire su un autobus. Una ogni venti minuti, che neanche in città. Però l'escursione la senti. La sentiresti di meno se salissi a piedi quando il fisico ha il tempo di abituarsi. E invece, se vuoi, sali e scendi in meno di un'ora.

Comunque, è uno spettacolo. Un giro in paradiso. Perché se esiste, il mio sarà così. Magari senza tutto quell'affollamento. 





martedì 21 marzo 2017

Alla fiera dell'Est

Sabato pomeriggio. Quasi le cinque. Rai Uno. Va in onda "Parliamone sabato".
Prime time per una fascia particolare di teleutenti. Lo share dichiarato, dopo una breve indagine sul web, balla intorno al 10%.

Si parla di donne dell'est, o meglio dei buoni motivi per i quali le donne dell'est sarebbero mogli migliori di quelle italiane. Non sto a illustrarli perché sono diventati di dominio pubblico nell'arco di poche ore.

Me li immagino quei teleutenti, perché siamo tutti figli degli stessi stereotipi che la trasmissione su cui si è scatenata la bufera (e molte altre) ha costruito la puntata. Me li immagino anziani o al massimo di mezza età, principalmente donne, di media o scarsa cultura, impegnati a sistemare casa, stirare o preparare la cena del sabato. Me li immagino lì davanti al televisore, ad annuire e a costruire nell'immaginario (e mi si perdoni la ridondanza) un altro pezzettino di quella fobia del diverso che cercano di inculcarci in ogni occasione. Al migrante spacciatore o stupratore, al rom criminale e ladro va ad unirsi la donna dell'est rubafamiglie e ammaliatrice di bravi ragazzi italiani.
Me li immagino mentre pensano al degrado della società moderna, in cui la donna cerca addirittura di avere pari opportunità dell'uomo e pretende di indossare una tuta, di non essere comandata o di avere il diritto di non perdonare un tradimento.

Me li immagino così, i teleutenti, ma non è assolutamente detto che lo siano. Quello che è certo è che sfruttare gli stereotipi va già poco bene in una discussione al bar dopo il sesto prosecco figuriamoci su Rai Uno. Prima rete nazionale. Per la quale paghiamo persino un canone e alla quale, neanche volendo, potremmo rinunciare in cambio di un risparmio mica da ridere.

Così, anni di lotte di donne determinate e consapevoli, sono stati cancellati con una slide apparsa sullo schermo e interventi, che definire discutibili mi sembra persino riduttivo, anche di ospiti "illustri".

Ma leggere i commenti su Fb o sui siti, post epurazione della Perego, mi ha fatto ancor più pensare quanto quegli stereotipi non stiano in piedi. Perché quella fascia immaginaria di teleutenti non può essere certo la medesima fascia che si scatena sui social. Che scrive commenti lapidari, scagliandosi più che altro sulle donne, come sempre accade, e sui suoi presunti cattivi comportamenti.

La trasmissione è stata cancellata e la testa della Perego è saltata per salvare la faccia della Rai. Senz'altro non è l'unica responsabile ma io mi chiedo quale conduttore si faccia scrivere le puntate e le affronti senza neanche approfondire prima l'argomento. E se l'ha esaminato, l'argomento, anche all'ultimo e ancor più da donna, un piccolo rigurgito non le è salito? Un dubbio? Magari la slide non la proiettiamo, magari non c'è tempo per smantellare la puntata ma l'affrontiamo diversamente. La domanda che mi faccio è, dunque: cosa si fa o non si fa per essere su Rai Uno alle cinque del pomeriggio del sabato? Oppure non è neppure questo il problema?

In coda ho fatto lo screenshot di uno dei commenti - di una donna - che ho letto navigando. Per dire anche quanto, molto probabilmente, i miei stereotipi di teleutenti siano così lontani dalla realtà.

Che ci sia ancora tanta strada da fare e molto da lottare per ottenere le pari opportunità è palese ma, per favore, cerchiamo almeno di non tornare agli anni '40. La re-istituzione del delitto d'onore vorrei proprio evitare di vederla.





martedì 24 gennaio 2017

L'importanza di un punto

Perché, fondamentalmente, arriva il momento in cui si può mettere un punto.
E ricominciare, andando a capo.
O addirittura cambiando foglio.
Archiviare quello che è stato scritto e metterlo via, nella scatola, assieme a tutto ciò che avevamo già scritto in passato.

E quando si può mettere quel punto, dopo che tanto abbiamo speso tra risate e lacrime e sudore per scrivere quella storia, ci sentiamo smarriti e sollevati insieme. E' necessario abbandonare il pensiero di dover per forza trovare una conclusione ad effetto o di trarre una morale. Perché spesso non ci sono. Né una conclusione ad effetto, tanto meno una morale. E non esiste neanche la parola "fine", perché quella, alle storie che scriviamo, non la mettiamo mai. Può capitare che un giorno ci tocca di ritirare fuori un foglio e aggiungere qualche riga, fare qualche correzione.

Un foglio vuoto.
Regole diverse, tempi diversi, nuova terminologia, nuova trama.
Nuovi personaggi anche. Sebbene, di quelli passati, qualcosa resterà. Alcuni rivivranno nelle nuove avventure, forse uguali a loro stessi o forse trasformati, come eroi, antieroi o semplici comparse. Ne si esagererà i tratti, che serviranno a dare alla nuova storia una luce più viva.
Le pagine che scriviamo non sono che la proiezione della nostra crescita personale; una fotografia di quello che ci è piaciuto e vorremmo replicare o degli sbagli commessi, che cercheremo di evitare di ripetere.

Mettere un punto significa fermarsi, guardare il foglio vuoto e l'inchiostro rimasto nella stilografica, riflettere e fare un viaggio dentro noi stessi alla ricerca di cosa vorremmo davvero scrivere in futuro.
Perché non potremo mai fare a meno di ricominciare a scrivere fin quando potremo tenere la penna in mano. E' questa, in fondo, è la cosa davvero meravigliosa dell'esistenza.