domenica 6 settembre 2015

Non dovrebbe servire una foto per ricordare

C'è un bambino che muore ogni attimo della nostra giornata. Di fame, di sete, di malattia, ucciso dalla guerra, stroncato dalla violenza diretta e indiretta degli uomini.
Non dovrebbe servire una foto per ricordarcelo.
Non dovrebbe servire una foto di un bimbo che muore per ricordarci di restare umani.
C'è qualcosa di profondamente sbagliato in noi, se ci serve quella foto.
E c'è qualcosa di criminale in noi se, nonostante quella foto, continuiamo a pensare che, in qualche modo, non avrebbe dovuto cercare un futuro migliore per sé, scappando dalla guerra, dalla fame, dalla malattia, dalla violenza.

Invece sembra che ci serva una foto per ricordarci che ci sono migliaia di persone che cercano uno scampolo di pace nei nostri Paesi. Che poi diventa "emergenza profughi" e dopo qualche giorno il problema sembra non esistere più, fino alla prossima tragedia, al prossimo bimbo che muore annegato al largo o sulla battigia. 
Sembra che ci serva una foto di un bimbo che muore per ricordarci della Palestina, che poi è "emergenza" per due giorni e poi non se ne parla più fino alla prossima casa bombardata e dentro dei terroristi neanche l'ombra.
Sembra che ci serva una foto di un bimbo che muore per ricordarci che in Africa ce ne sono milioni che non hanno di che metter due grammi di riso sotto i denti o che nascono già malati di Aids, che poi è "emergenza umanitaria" per qualche giorno e dopo non se ne parla più finché non c'è una nuova guerra per i diamanti e di cornice, guarda un po', ci sono bimbi che muoiono mutilati, affamati o col fucile in mano.
Sembra che ci serva una foto di un bimbo che muore per ricordarci delle favelas, dei bimbi di strada, che poi è "emergenza" per due giorni e dopo non se ne parla più fino al prossimo caso di traffico d'organi o di turismo sessuale.

Non dovrebbe servire una foto di un bimbo che muore per ricordare e per fare, nel nostro piccolo, ogni cosa, ogni giorno perché questo non accada più. Forse potrebbe sembrare un po' scontato ma, visto che ci serve sempre quella foto, magari non lo è.


venerdì 21 agosto 2015

Una me all'Expo

Sono mesi che non scrivo.
Oggi è un bel giorno per ricominciare.
Ho accompagnato mia madre e i miei figli (come diretta conseguenza) all'Expo di Milano.
Scrivo da qui. Mentre loro, tutti, sono in uno degli enne spazi di animazione bambini.
Come se servisse ancora dell'animazione. Ma tant'è.

Ma cominciamo da capo.
Mia mamma voleva andare all'Expo e portarci i miei figli (prima di morire, dice, come se dovesse accadere domani anche se, per fortuna, così non è) e siccome le voglio molto bene ho deciso, di mia sponte, di accompagnarla.

L'Expo è un carrozzone gigantesco, che parla del cibo come se mezzo mondo non morisse di fame per permettere a noi di ingrassare liberamente. 
Ci sono tanti padiglioni che non bastano giorni per vederli tutti. Se poi ti metti pure a leggere tutto quel che c'è da leggere converrebbe fare uno stagionale.
Bei messaggi: cibo per tutto il pianeta, agricoltura sostenibile, orti urbani, alimentazione corretta, attenzione alle provenienze ecc. Tutto grida vendetta in questo formicaio di persone che si ingozzano, buttano la roba a terra, si lamentano delle code, degli odori, del rumore, della gente. Perchè l'Expo è prima di tutto un bel manifesto pubblicitario per chi ha i soldi e il prossimo anno può decidere se andare in ferie in Argentina, in Kazakistan o in Vietnam.

C'è gente ovunque. Qui la crisi non esiste. È tutto digitale, luccicante, accattivante, colorato.

In un giorno si può vedere, sì e no, un decimo di quello che c'è da vedere. Una limonata costa due euro e cinquanta, un toast con le patatine e una bibita undici euro, un piatto striminzito di qualsiasi cosa tra i tredici e i venticinque euro, una birra piccola quattro euro, una Corona in bottiglia sei euro.
Se ci stai una giornata, in due o tre, cento euro si volatilizzano alla velocità della luce.

Alcuni padiglioni son belli, niente da dire. Luccicanti e ad alta tecnologia come piace tanto alla metà del mondo che ha potuto evolversi. Ma a me sembra di stare a Cinecittà. Ho quest'impressione da quando siamo entrati stamattina. La gente sorride, è felice, come quando va al circo. E io, come al circo, sento che c'è qualcosa di sbagliato in tutto questo. Senza neanche stare a pensare alla devastazione del luogo, alle ragioni etiche e a tutto quello di cui si potrebbe parlare ma di cui non parlo perchè non voglio scrivere un poema.

Qui non c'è pace. Tutto è sempre in movimento. In un padiglione ti mostrano un bimbo che muore di fame e in quello accanto dieci cuochi sudano per ore per assemblare migliaia di pasti in cucine a vista, con il cibo precotto (per forza!) stipato in contenitori di plastica come in una grande catena di montaggio. Ti fanno vedere l'agricoltura sostenibile e poi ti servono ogni sorta di vegetale a chilometro centomila. Ti fanno vedere le bestie ammazzate nelle macellerie a catena e poi giù hamburger, salsicce, bistecche che difficilmente provengono da animali allevati a terra sui verdi pascoli irlandesi.

Signori venghino all'Expo, venghino.
Più gente entra più bestie si vedono. 

martedì 7 aprile 2015

Torturiamo la Diaz

La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo condanna l'Italia per tortura in merito ai fatti della Diaz di Genova 2001.  La prima cosa che ho pensato è che la Corte europea avesse scoperto l'acqua calda. Ma noi, osservatori di ciò che accade, non dovremmo permetterci di essere così superficiali, anche se (diciamocelo) il senso sta tutto lì.

Era il 21 luglio 2001 e quando tutto sembrava finito e Carlo era stato ucciso, tutto doveva cominciare. Manipoli di agenti in assetto anti-sommossa sono entrati alla scuola Diaz e hanno massacrato - ricordiamo la definizione di "macelleria messicana" di Michelangelo Fournier (all'epoca vice dirigente del reparto mobile di Roma) - decine di persone inermi, attivisti, che della Diaz avevano fatto base. Con la scusa - palesemente inventata - di aver ivi rinvenuto delle bottiglie molotov.

Se non eravate là, io vorrei davvero che guardaste il film, che pure "edulcorato" a me ha spazzato, ancora, lo stomaco via.

Il 21 luglio 2001 anche noi eravamo a Genova e solo la fortuna e la vicinanza con il capoluogo ligure, forse, ci ha tenuti lontano da quel luogo. Non per questa ragione, continuo a ritenere quell'azione di polizia come uno stupro. Uno stupro dei diritti, ancor prima che del genere umano tutto. Un primo tentativo per dimostrare dove si poteva arrivare senza che, tutto sommato, l'opinione pubblica si indignasse più di tanto.

La gestione della piazza è un punto importante per silenziare il dissenso. Se io posso, senza grandi tragedie nazionali, sedare tale dissenso con la forza bruta, al massimo della forza bruta stessa ci si arriva per gradi. Non c'è bisogno di sparare direttamente sulla folla. Prima la si manganella con sobrietà. L'opinione pubblica si indigna ma in poco tempo tutto è dimenticato, tutto va nel "già fatto". Poi si manganella più forte. Poi si tortura. Poi si reprime con la forza ancor prima che il fatto sussista (anche se non sussiste). E via dicendo. E il livello d'indignazione delle persone resta sempre tollerabile nel suo complesso.

Per lo Stato è una vittoria, ma è una cosa spaventosa.

Bisognerebbe chiedere ogni giorno che ogni agente sia completamente identificabile (i numeri di matricola sulla divisa sono il livello minimo di civiltà) perchè ogni agente sia responsabile - solo lui e non tutti quanti gli agenti o nessuno, come troppo spesso oggi accade - degli eventuali reati che commette. Ne va nella credibilità di chi è deputato a proteggerti. Perchè torturare (uccidere anche, ça va sans dire) è un reato. Molto più grave di tanti altri, senza stare a stilare scontate classifiche.

Lo sappiamo noi. Lo sanno le forze dell'ordine. Lo sa lo Stato. Lo sa l'Europa. Lo sa il mondo. Torturare è un reato. Gravissimo. 

Ma se io non so come dare risposte al disagio, ridurre al silenzio i disagiati è la strada più semplice. Dare risposte è più difficie che chiedere a un "sicario" di occuparsi della questione. Soprattutto se quel "sicario" lo puoi "ricattare" con lo stipendio. E si troverà sempre qualcuno che, per ragioni sue, farà quello che tu gli chiedi al prezzo che gli offri.

mercoledì 11 marzo 2015

Quando tutto è possibile

Incredibile e credibile, impossibile e possibile. Vi dico cosa, personalmente, trovo incredibile dell'assoluzione in Cassazione di Mr. B. nel processo Ruby. 

Prima, però, devo fare una premessa. 
La premessa è che a me non frega un tubo di quello che B. fa in casa sua. Potrebbe allestire un intero scenario di tappi di sughero, avere rapporti sessuali di ogni sorta, bere litri di sciroppo d'acero, ruttare come sei marinai o cercare di far volare gli asini. Questo deve essere chiaro. Ognuno a casa sua fa un po' quello che gli pare. Purché non commetta reati.

Andare con una minorenne, mi risulta sia ancora reato.
Non credo - mi soccorrano i tanti amici avvocati - che ci sia una postilla che deroga nel caso in cui la minorenne sia una stangona, bonazza senza senso e dimostri 20 anni.
Non mi risulta neanche che si possa dire "Ma io credevo fosse maggiorenne" poichè, sempre appoggiandomi alle mie poche basi, la legge non ammette ignoranza.

"Mi scusi signor giudice, non sapevo di non poter picchiare mia moglie"
"Mi scusi signor giudice non pensavo di non poter falsificare il bilancio"
E cosi via, con il giudice che dà buffetti sulle guance e dice "Non lo fare più però eh!"

Se la Cassazione assolve uno che dice che non sapeva che la ragazza che pagava per venire a letto con lui fosse minorenne, cosa dovrebbe impedire a tutti i pedofili che sono stati con altre sedicenti adoloscenti travestite da adulte di appellarsi alla medesima clemenza?
Questo, per me, è incredibile. Non si crea un precedente a giustificazione dei pedofili? Fino a che età potrà reggere la tesi, quando andando in una qualsivoglia scuola media ci sono ragazzine che tutto sembrano tranne che ragazzine?

"Sembrava adulta, aveva la minigonna e la scollatura per provocarmi. Se l'è cercata. Era consenziente". Quanto ci vorrà per derubricare anche lo stupro (che già siamo sulla buona strada) su minorenni?

Non vi dico quanto, per me, sia altrettanto incredibile che una giuria composta da persone che hanno studiato legge una vita non sia riuscita a ravvisare un reato nel fatto che il premier (lo Stato) telefoni alla Questura di Milano (ancora Stato) mentendo sulla parentela di una prostituta minorenne per farla uscire di galera affidandola a una donna che, a quanto mi risulta, non sia proprio un'assistente sociale e che convinca la maggioranza del parlamento italiano a sostenere la sua assurda bugia per salvarsi le chiappe.

Ma la cosa più incredibile di tutte, sempre a mio parere, è che una tale "macchietta" sia leader di un partito non classificato alle urne, da milioni di italiani, come una fantastica barzelletta di cui ridere per settimane ma come un simbolo serio su cui tracciare una croce.

Qui, Uno dei tanti articoli di oggi

Foto presa dal sito http://www.medicitalia.it