martedì 25 novembre 2014

Risposte concrete

Oggi è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Un'amica mi ha fatto una semplice domanda, portandomi a riflettere sul significato di questa giornata che, a mio parere, dovrebbe essere un momento educativo e invece, come spesso accade, è solo una gran quantità di slogan pronunciati e null'altro.

Siamo così lontani dall'eliminare la violenza dalle nostre esistenze - io stessa lo sono e la cosa mi spaventa - che non vedo alcun presupposto perché la violenza di genere sia presto un ricordo. Cosa si dovrebbe dire in un giorno come questo? Che mettere le mani addosso a una donna è vigliacco, meschino, bastardo? Certamente lo è e su questo non si discute. Chi direbbe il contrario? Eppure, il peggior nemico di una donna, troppo spesso, è chi divide con lei le lenzuola.
Cosa si dovrebbe dire? Donna fuggi, ribellati, ricostruisciti una vita? Certamente è la cosa giusta ma poi, quella donna, chi l'aiuta nei fatti? Chi l'accoglie? Non certo uno Stato che taglia fondi su capitoli come scuola, sanità e servizi. Non certo una comunità che, in molti casi, quella violenza la giustifica persino, imputando alla donna colpe che non ha.

Violenza.
La violenza è picchiare, torturare, uccidere, umiliare. Su questo siamo tutti d'accordo?

Ma la violenza non è solo quello.
La violenza sono le mille piccole violenze quotidiane. 
La violenza è pensare o far credere che tutto quello che la donna fa sia sbagliato, figlio di non si sa quale impulso decontestualizzato, di ignoranza, di incapacità, di inadeguatezza.
La violenza è lasciare alla donna tutto il carico pratico ed emotivo della quotidianità, della gestione della casa, della famiglia, dei figli (salvo poi criticare più o meno pesantemente quella stessa gestione).
La violenza è il silenzio, la non condivisione, il non essere supporto, l'egoismo, il menefreghismo.
La violenza è negare la libertà individuale o farla apparire una concessione.

La violenza non comincia quasi mai con la violenza fisica e, a volte, per fortuna, non ci arriva. Comincia con la sterile gelosia, con l'affetto negato, con le piccole umiliazioni ("non sei capace a far nulla", "sei fuori dalla realtà", "non capisci un cazzo") private o pubbliche.

La violenza è volere una donna trasparente. Violenza è ferire quando quella donna diventa opaca, quando non "sta al suo posto" facendo la brava mamma, la brava casalinga e aprendo le gambe a tempo debito. Possibilmente in silenzio, "che tutte queste chiacchiere sono anche fastidiose a lungo andare".

Prima che un uomo alzi le mani su una donna può averle usato violenza mille volte.
E la donna, troppo spesso, sopporta. Per amore, per paura dell'abbandono, per amore dei figli, perché dipende economicamente dall'uomo o per mille ragioni. A volte non se ne rende nemmeno conto. A volte, quella realtà le sembra l'unica possibile.

Chi l'aiuta questa donna? La società tutta quale riferimento sano le prospetta?

I tagli del welfare dicono questo:
 "Non lavorare, non essere indipendente. Occupati tu del marito, dei figli che vanno a scuola o che ancora non ci vanno, del nonno che non è autosufficiente, della mamma malata. A me, Stato, costa meno - che gli evasori non pagano le tasse e non ho soldi - e tu sei portata. Ci sei nata per la cura. Ce l'hai nel Dna.  Mica vorrai fare quello che ti piace? Studiare o fare quello per cui hai studiato? Ti mantiene l'uomo. Se ce l'hai. Altrimenti sei una sfigata. Sei racchia? Frigida? O magari te lo sei fatto rubare? Hai messo la minigonna per uscire per strada e poi ti lamenti che il marito è geloso. Se non hai il marito ti lamenti che ti prendano per una puttana. Non sei capace a far altro che lamentarti. Se tu stessi a casa, in silenzio, tutto questo non succederebbe".

Ma a noi va bene così? Ci va bene che a fare le spese della violenza dello Stato, prima, e dell'uomo, poi, siamo sempre le donne? No che non ci va bene. Ma far da sole, spesso, non si può o non si riesce. Chi le aiuta queste donne?

Per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne vorrei questo: risposte. Risposte concrete.


lunedì 17 novembre 2014

... quando è ora di mettere ai piedi gli sci.

Parlano tutti di montagna, i politici. 
Bisogna valorizzare la montagna, dicono. Fa fico.
Poi, però, della montagna si ricordano solo quando è ora di mettere ai piedi gli sci.
O di sfruttare una sorgente.
O di fare un inutile buco nella montagna per ingrassare gli amici che lavorano nel cemento.

Vivere in montagna è bello, nonostante la scomodità.
Ma chi vive in città e governa dalla città lo sta rendendo impossibile.

Ai boschi non si guarda più. C'è incuria dovuta alla mancanza di stanziamento di fondi e l'incuria porta agli smottamenti, alla ribellione dei rii.
Ai fiumi non si guarda più. Ci sono solo argini di cemento in cui è impossibile costringerli, lamentandosi poi che il fiume rompe i ponti durante le alluvioni.
Agli animali non si guarda più. L'allevamento, invece di essere risorsa, viene considerato un mestiere paleolitico. Non solo non viene sostenuto ma persino guardato con sospetto.
Ai campi non si guarda più. L'agricoltore è paleolitico poco meno dell'allevatore. Giusto lo sopporti perché puoi fare bella figura quando parti da Roma per comperare i suoi prodotti delle valli alpine a chilometro zero.
Ai bambini non si guarda più. Si chiudono scuole, facendo pagare però alle famiglie i costi di trasferimento. 
Alla sanità non si guarda più. Si chiudono ospedali, facendo però pagare alle famiglie costi sanitari altissimi e compensandoli con servizi zero.
Tutto è metropolicentrico. Come se vivere nel formicaio dovesse essere l'unica scelta. Salvo, il sabato e la domenica, quando tutto il formicaio si sposta in montagna a portare la sua spazzatura nei boschi, così come troppo spesso la sua maleducazione e la sua prepotenza. Il sabato e la domenica, la montagna si trasforma in parco giochi per chi vive in città.
Poi si svuota. E alla montagna cosa resta? Qualche euro che non sarà reinvestito sul territorio ma trasformato, se va bene, in brutti alberghi-formicaio di cemento.

Facciamo vivere davvero la montagna. Difendiamola. Ed esigiamo che sia difesa.





sabato 1 novembre 2014

Halloween e Colombo

Halloween. 
Stamattina, leggendo i commenti di alcuni amici e conoscenti su questa festa, mi è venuta da fare una piccola riflessione. Prima di tutto sulla festa in sè. Halloween non è una nostra festa ma, a dirla tutta, neppure una festa statunitense perchè la tradizione vera è anglosassone. Si festeggiava Ognissanti intagliando rape e mettendoci dentro un lanternino ma siccome gli americani le rape non ce le avevano e, invece, avevano un sacco di zucche si sono presi una licenza poetica. Solo recentemente ha preso la dimensione di festa dedicata soprattutto ai bambini e solo in alcuni Paesi. Era un modo per celebrare l'arrivo dell'inverno, per allontanarne la paura. In qualche modo la festa inversa rispetto all'Ors di Mompantero.

Halloween non è una nostra festa, va bene, ma la rilevanza di questo fatto è nulla. I pomodori li mangiamo eppure non sono una nostra verdura. Senza Colombo, i navigatori e la loro ostinazione non avremmo neppure il mais. É l'effetto della globalizzazione. Lamentarsi che non sia una nostra festa, a mio parere, è inutile e antistorico.

Poi ci sono alcuni cattolici che sostengono che Halloween non sia da festeggiare perchè è la festa del diavolo, perchè si sbeffeggia la morte. Curioso, da parte di una religione che sostiene che risorgeremo tutti in un tempo da definirsi e che celebra con la santità la morte di persone crocifisse, spellate vive, lapidate, morte di lebbra, torturate con le frecce e le mette in mostra, così oltraggiate, in tutte le chiese attraverso quadri e affreschi. Ogni festa, dalla notte dei tempi, sbeffeggia la morte, o l'inverno o il buio o le cose brutte della vita, perchè è proprio attraverso un momento lieto e collettivo che quelle cose riescono a far meno paura. Altrimenti a che serve una festa?

Halloween indurrebbe alla violenza, educherebbe alla violenza. Stamattina ho letto anche questo. Io non riesco a capire come si possa dire che vestire da fantasma, da scheletro o da strega il proprio figlio o la propria figlia induca alla violenza. Invece, comprare loro pistole giocattolo, insegnargli che il vicino di casa extracomunitario è un bastardo che viene in Italia a rubare il lavoro o a violentare le donne, permettergli di giocare a giochi di guerra sulla Playstation o mille altre cose sarebbe educazione alla nonviolenza?
Halloween è una festa per bambini, qui da noi. É chiaro che poi ci siano gli adolescenti che, non avendo grandi alternative e neppure fantasia, cercano una paura più grande, fanno scherzi idioti. Ma succede anche a carnevale. Succede anche senza che ve ne sia il pretesto. L'adolescenza è sicuramente più spaventosa di Halloween.

Dolcetto o scherzetto? Stamattina ho letto di persone infastidite dal suono dei campanelli. Un piccolo fastidio, una sera l'anno, per (forse) qualche ora. Invece non diciamo niente quando in vista di capodanno si comincia a scoppiare petardi quindici giorni prima e si prosegue per quindici giorni, a qualsiasi ora, cosa che oltretutto terrorizza gli animali di casa.

Oggi o domani, mentre andrete a mettere il vostro crisantemo, pagato trecento volte il suo prezzo, sulla tomba dei vostri cari - questa sì, tradizione italiana e cattolica - pensate che andrebbe fatto per una forma di rispetto nei confronti di chi non c'è più. Quel medesimo rispetto usatelo nei confronti delle tradizioni di tutti. Secondo me, male non può fare.