domenica 26 gennaio 2014

La sinistra, i pentastellati e Sandro Plano

Sandro Plano e Antonita Fonzo, Susa
Mi appassiona questo dibattito su Facebook, tutto valsusino, tra cittadini pentastellati e sostenitori di Sandro Plano. Sembra non tenga presente in nessun modo il passato e questo è tipico dell'italiano: passata la festa è gabbato il santo. Ma mi spiegherò meglio.

Partiamo dai fatti. Sandro Plano, attuale presidente di Comunità montana valle Susa (in via di trasformazione in Unione di comuni), è stato per due mandati sindaco di Susa, dal 1999 al 2009. Io non posso, anche per motivi anagrafici, ricordare tutti i sindaci di Susa ma credo di poter affermare con una certa sicurezza che è stato il primo sindaco a capo di una coalizione di centrosinistra nella storia della città. Il primo che è riuscito a battere un radicatissimo legame tra cattolici (Susa è sede vescovile!) e destrorsi. Ci è riuscito, la prima volta, anche (o solo?) perché la destra cattolica si era divisa e i due G., Bellicardi e Baccarini, non trovarono un accordo per presentarsi insieme. Prese milleseicento e rotti voti contro i più di duemila delle altre due liste messe insieme. Rifondazione, che si presentava da sola, prese poco più di duecento voti.

Sandro Plano non è certo un marxista (anche questo mi pare palese) ma è persona abile nel trovare le mediazioni e agire. Nella sua giunta aveva con sé alcune anime cattoliche, altre di sinistra e altre ancora "ambientaliste". Dopo dieci anni di governo, un piccolo bilancio si può fare. La si può pensare come si vuole ma non si può dire che Plano abbia male amministrato, con il supporto della sua eterogenea giunta, tanto che è stato riconfermato dai cittadini segusini nonostante il centrodestra, imparata la lezione, si sia presentato compatto. Sulla questione che alla valle di Susa interessa sopra ogni altra, Plano ha avuto identica capacità di mediazione all'interno della sua compagine (che non era tutta No Tav) e al di fuori, restando fermo sulla linea della contrarietà che univa tante amministrazioni valsusine.

Nel 2009 Gemma Amprino, a capo nuovamente di una coalizione di centrodestra, ha sconfitto senza grandi difficoltà Giorgio Montabone, candidato sindaco per una coalizione simile a quella di Plano, nonostante il cognome che lo contraddistingue e la storia che esso porta con sé. La Amprino, molto conosciuta sia come insegnante sia come moglie del dottor Giorio (nonché come consigliere provinciale), ha saputo raccogliere tutte le anime cattoliche e il sostegno della destra della città le ha garantito la vittoria.

Così, si arriva a oggi. 2014. Tempo di nuove elezioni amministrative. A Susa si gioca, in grande (non per i numeri ma per la visibilità dell'amministrazione valsusina nella questione Tav), quello che si gioca in tutta la valle: il proseguimento di una saldatura importante tra cittadini contrari alla Torino-Lione e amministrazioni, che quei cittadini, bene o male, hanno rappresentato per quasi dieci anni. La lotta, infatti, dura da oltre due decenni ma è dal 2005 che, guadagnata la visibilità a livello nazionale, è diventata essenziale anche la questione "politica".

Sandro Plano non ha ancora detto che si candiderà di nuovo alla guida di Susa ma è lapalissiano che molte anime No Tav e di centrosinistra guardino a lui, unico nome spendibile in grado (forse) di battere la Amprino. Chi sostiene che ci sono altre alternative, che un'altra persona politicamente schierata nel centrosinistra potrebbe avere lo stesso risultato di Plano alle urne, non tiene in alcun conto della storia della città. Una città conservatrice, profondamente cattolica e molto eterogenea nella composizione della popolazione. Plano potrebbe anche non vincere ugualmente, certo, ma al momento attuale, realisticamente, se non ce la fa lui non può farcela nessun altro.

Plano è iscritto al Pd e ha già fatto due mandati. Queste caratteristiche impediscono al popolo di Grillo di accettarlo come candidato. Il fatto che abbia la tessera del Pd sembrerebbe essere un problema più per il Pd che per i pentastellati valsusini ma tant'é. La tessera del Pd è un altro fatto. E anche non l'avesse, comunque, ha già governato dieci anni.

Il dibattito su Facebook tra M5S e pro-Plano (tra cui tanti che il Pd non lo voterebbero neanche sotto minaccia armata) mi appassiona ma è senza sbocchi. Non si può discutere o trovare mediazioni con chi rifiuta le mediazioni, su chi trae il proprio consenso dalla rabbia di quegli italiani per cui questi politici sono tutti uguali. L'unico sbocco è la forzatura: o Plano si candida e scontenta i grillini (forse perdendo le elezioni perché un percentuale di "duri e puri" c'è sempre e non si sa quanto rilevante) o si presenta un altro (o un'altra) e, con grande probabilità, il centrosinistra perde le elezioni.

Io in questo dibattito non voglio entrare se non raccontandolo. Posso solo aggiungere due opinioni personali. La prima è che da lontano i politici potranno sembrare tutti uguali (e tanti lo sono) ma da vicino no. Sono sicuramente un po' migliori quando li vedi tutti i giorni e puoi confrontartici; quando li puoi svegliare nel cuore della notte perché l'alluvione ti ha allagato la casa; quando non si nascondono in sale protette dalla polizia a decidere chissà cosa a nostra insaputa; quando sostengono le loro opinioni (anche diverse dalle nostre) in ogni sede pubblica e non scappano dal confronto; quando sbagliano e sanno riconoscerlo; quando sanno dare a chi non ha prendendo risorse da chi ha e non vuole dare; quando danno l'esempio.
La seconda è che io ho sempre amato la coerenza politica (chi mi conosce lo sa) ma ci sono state volte in cui essere politicamente coerente mi costringeva a una croce sulla scheda elettorale che io non avrei mai tracciato. In quei casi, ne ho tracciata un'altra. A volte, grande come la scheda.

mercoledì 22 gennaio 2014

L'ultima speranza dell'acciaio made in valle Susa

L'acciaieria Beltrame dall'alto
Restano 75 giorni e poi si chiuderanno le speranze dei 310 lavoratori (tanti ne restano dopo che 40 si sono avviati alla mobilità volontaria) delle acciaierie Beltrame. Oggi è stata avviata la richiesta di mobilità per tutti, che potrà essere fermata al massimo entro il 4 aprile. Dal giorno dopo, tutti i dipendenti potrebbero avere in mano le lettere di licenziamento.

Della Beltrame scrissi il 3 marzo scorso (L'agonia della Beltrame). Allora si temeva un ridimensionamento del personale. Adesso quella prospettiva sembra persino rosea. I lavoratori hanno lottato, supportati dai sindacati, per ottenere ancora una speranza. hanno lottato e mantenuto il blocco-presidio per più di un mese. Dieci mesi di cassa integrazione straordinaria li ottennero. Quei dieci mesi scadranno il prossimo 4 aprile e le nuvole nere che si addensano sul futuro degli operai e degli impiegati sembrano chiudere ogni sprazzo di sereno.

Settantacinque giorni. Ancora una volta i sindacati cercano una prospettiva ma non sono mancate le critiche, da parte dei lavoratori, anche verso di loro. Troppo silenzio in questi mesi. Troppo silenzio per chi vive di speranze e di notizie.

Le acciaierie Beltrame si sono insediate sul confine tra Bruzolo e San Didero nel 1960. Si chiamavano acciaierie Ferrero e ancora adesso chi vive qui da sempre si riferisce allo stabilimento come alla Ferrero. Han cambiato nome e proprietà ma han sempre lavorato. Poi la grande crisi, dal 2009 in poi. Quasi tre anni fa gli altiforni (contro i quali tante battaglie - anche legali - si erano compiute per fare in modo che non emettessero più diossine e Pcb) si sono spenti. Prima hanno cominciato a lavorare solo più nei fine settimana finché una volta spenti non si sono più riaccesi. I due laminatoi hanno proseguito con la produzione ma sempre meno e ad alternanza. I lavoratori parlano di circa un mese di produzione l'anno. E il resto? Cassa integrazione.

Realisticamente, dicono i sindacalisti, è difficile immaginare che l'altoforno riprenda a lavorare anche in futuro. Quella parte è già morta, in sostanza. Ramo secco da potare. I laminatoi, invece. potrebbero continuare a lavorare, specializzarsi, conquistarsi una fetta di mercato. Così dicono i sindacalisti. Per questo provano a lottare con i lavoratori. Per ottenere altre 12 mesi di cassa integrazione straordinaria che diano un po' di respiro, che permettano di studiare un piano industriale, una prospettiva economica in grado di mantenere il lavoro in valle di Susa (ma anche lo stabilimento Beltrame di San Giovanni val d'Arno è nella stessa situazione).

La grande fabbrica, per tanti. Il mostro, per alcuni. Il pane da mettere in tavola per almeno 310 persone, escluso l'indotto, seppur oggi limitato, prodotto dallo stabilimento. Sarebbe stato un sogno vedere una fabbrica che lavora in sintonia con l'ambiente circostante, che non ottiene bandiere nere di Legambiente, che respira con il territorio in cui è situata. Ma tutto si trasforma e la crisi e altri fattori economici hanno cambiato lo scenario. E tra 75 giorni, il ramo secco da potare potrebbe essere l'intera azienda.

domenica 19 gennaio 2014

Da grande farò l'autoporto

San Didero, un grande triangolo di terra compreso tra l'autostrada, l'Eslo Silos, il canale scolmatore e la statale 25. Doveva ospitare l'autoporto della valle di Susa. Poi, a metà degli anni '80, la politica decise che costruirlo a San Giuliano di Susa era meglio, era più funzionale. Naturalmente non prima di aver speso fior di quattrini per costruire gran parte della struttura che avrebbe ospitato uffici e parcheggi. Struttura che è ora uno scheletro di archeologia urbana in cui writer e skater hanno trovato l'El Dorado. 

Oggi, Ltf e Sitaf vogliono riportare l'autoporto a San Didero. Il Tav spinge, ha bisogno di spazi (verdi o meno, poco importa alle colate d'asfalto). Dove ora ci sono autoporto e struttura di guida sicura nascerebbe parte del cantiere per lo scavo del tunnel di base e poi la grande stazione internazionale. Inutile dire che la scelta di spostare l'autoporto a San Giuliano si è dimostrata poco lungimirante, oltre che dispendioso per le casse pubbliche, ma in Italia funziona così. L'avidità del presente ha sempre il sopravvento su qualsivoglia programmazione a lungo termine.

Due settimane fa sono andata a vedere cos'è l'autoporto abbandonato che ambisce a diventare finalmente autoporto, naturalmente non prima di esser smantellato e ricostruito interamente. Un progetto da 86 milioni di euro, collegato a un'opera, il Tav, che (ormai è più che palese) non ha alcuna utilità in ambito trasportistico poiché merci da spostare non ce ne sono più e quelle che ci sono possono essere tranquillamente trasportate sulla Torino-Lione a velocità normale che già c'è. Se poi vogliamo puntualizzare, l'alta velocità nel tunnel e in valle (tra le case) ad alta velocità non ci potrebbe neppure andare. Insomma, per il momento non siamo completamente scollegati dall'Europa e se i valsusini o i torinesi vogliono andare a Lione o a Parigi possono già farlo. Anche sul TGV.

Ma torniamo all'autoporto. Lo scheletro della struttura aveva infissi e quant'altro che, altro miracolo tutto italiano, sono stati staccati e rubati nel corso del tempo. I prati adiacenti e i sotterranei sono discariche a cielo aperto di qualsiasi tipo di rifiuto. Gli skater nell'androne principale si sono portati sacchi di cemento e boccioni d'acqua e si sono costruiti gli ostacoli necessari per poter fare le evoluzioni. I writer hanno reso colorato un posto grigio e abbandonato con volti e scritte e disegni, alcuni dei quali decisamente belli. Sono gli unici segni di arte e civiltà. Bisogna fare attenzione però quando si cammina perché è pieno di buchi; i tombini sono scoperti e dal soffitto scendono stalattiti tutt'altro che rassicuranti.

In anni più recenti, i primi anni 2000, quella zona era stata scelta da una ganga di delinquenti per seppellire fusti inquinanti che altrimenti sarebbe stato troppo costoso smaltire. Tutti assolti nel 2009 per prescrizione dei termini. L'inquinamento non si può prescrivere, però, quindi è partita la bonifica.

Ieri sera (sabato 18 gennaio), in un'assemblea partecipata a San Didero, i tecnici hanno spiegato le tante ragioni tecniche per le quali le amministrazioni si stanno opponendo a questo "trasloco". Ma, alla base, c'è sempre il macigno dell'enorme sperpero di denaro pubblico. Cosa si potrebbero fare con 86 milioni di euro? Quante scuole si potrebbero sistemare? Quanti territori mettere in sicurezza? Quanti edili, geologi, ingegneri, operai lavorerebbero a portare avanti questa miriade di "piccole" opere? Ieri sera, durante l'assemblea, tra le molte motivazioni tecniche si è sottolineato come quell'area sia un indispensabile corridoio ecologico per alcune specie animali. Ho sorriso, lo ammetto. Mi sono chiesta quale progettista sia disposto a passare sulla salute degli esseri umani e sulla vivibilità di un territorio per poi intenerirsi di fronte a un pipistrello.

86 milioni di euro. Altri 18 milioni di euro per spostare la struttura di guida sicura ad Avigliana. Sono tanti, tanti soldi e non sarebbe male che una volta si provasse a guardare un po' più in là del proprio naso e si provasse a fare un po' di programmazione per il futuro. Perché quello scheletro abbandonato dagli anni '80 lancia un monito: non abbiamo bisogno di nuove costose cattedrali nel deserto








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