martedì 20 agosto 2013

Ogni cosa è illuminata


Un bel libro è quello che leggi anche quando non lo stai leggendo. Un bel libro è quello che divori e poi rileggi subito per non lasciare indietro le briciole. Un bel libro ti parla anche quando sta nella borsa. Libro, che hai portato anche se sai che andrai in un posto in cui non potrai leggerne neanche una pagina. Ho letto molto qui al mare. Libri belli e libri che non mi sono piaciuti. Quello che ho appena chiuso, per fortuna, l'avevo lasciato per ultimo perchè finire una bella vacanza con un libro stupendo è come svegliarsi da un sogno sorridendo.


Ho letto Partigia di Sergio Luzzato e l'ho trovato pesante, ridondante, inutilmente pomposo (niente di ideologico, solo uno dei libri più noiosi di quest'anno). Ho letto L'ombra del vento di Carlos Ruiz Zafon e non mi è piaciuto, nostante parlasse di libri e di amore per i libri. Ho cercato di leggere Point Lenana di Wu Ming 1 e l'ho lasciato dopo 50 pagine (magari non era il momento, ritenterò a casa).

Poi, c'era ancora lui. Con la sua copertina gialla, semplice. Normalmente leggo prima i libri e poi vedo i film (eventualmente) ma in questo caso è stato il contrario. Il film l'ho amato molto e rivisto più volte. Il libro è ancor più bello anche se, a suo modo, strano ai limiti dell'onirico. Dietro c'è una realtà dura e dolorosa, c'è la difficoltà della scelta.

"Cerca di vivere in modo che tu possa sempre dire la verità, ho detto. Va bene, ha detto lui e io l'ho creduto e questo era abbastanza". 2002, Guanda Editore, "Ogni cosa è iluminata" di Jonathan Safran Foer, 12 euro. In copertina, due righe di Pietro Citati di Repubblica che condivido appieno: "Qualche volta, basta un solo libro per cancellare i nostri dubbi sulla letteratura di oggi".

Il film ha dato nella mia testa le voci ai protagonisti ma sono tanti i personaggi "minori" che sul grande schermo non hanno potuto trovare voce e che, invece, hanno grande ruolo. Il grande ruolo che ha la memoria di ciò che è stato in quello che siamo. La memoria. Perché la nostra vita non sia solo un trattino staccato da altri trattini ma una linea unita che porta sempre verso una consapevolezza maggiore, verso un futuro più solido e più giusto, per quanto sia doloroso e difficile e a volte persono contrario a noi stessi.

"Questo mi ha fatto soffrire. Vi dirò il perché. Io sapevo perché lui era a un pochino meno che piangere. Lo sapevo molto bene, e avrei voluto andare da lui e dirgli che anch'io avevo un pochio meno che pianto proprio come lui e fa niente se poteva sembrare che lui non sarebbe mai diventato una persona pregiata come me con tante ragazze e così tanti posti famosi dove andare, perché sì, invece lo sarebbe diventato. Sarebbe stato esattamente come me. E guardami, Piccolo Igor, i lividi se ne vanno via, e così anche l'odio, e così anche l'idea che tutto quello che ricevi nella vita te lo sei guadagnato".

Leggetelo, Ogni cosa è illuminata. Vi resterà qualcosa e sicuramente qualcosa di bello.




sabato 17 agosto 2013

Lo Stato siamo Noi?

Un porto che non viene sistemato per mancanza di fondi a Imperia. Un ponte che non viene sistemato per mancanza di fondi (con difficoltà notevoli per i cittadini) in un altra cittadina ligure. Guardare il Tg regionale in Liguria un po' mi riconcilia con il tiggì regionale (almeno riconcilia la piemontese che è in me) e un po' mi fa arrabbiare. Se ciascuno di noi avesse l'opportunità di guardare ogni giorno un tiggì regionale diverso si renderebbe ancor più conto di quanto sia importante fare sistema tra cittadini, per capire dove lo Stato toglie e dove lo Stato vuole mettere.

Questo Stato continua a togliere dappertutto nelle "piccole" (e poi discutiamo delle dimensioni) opere utili a tutti, nella scuola (tanto le famiglie cercheranno sempre di spendere per far studiare i figli), nella sanità (non la spendi una milionata o meglio ti indebiti se c'è in gioco la tua vita o quella di tua figlia?) e nei servizi per metterli laddove è sempre più evidente non servano a nulla. Questo Stato dà l'impressione di stare deliberatamente cercando di rimetterci nella condizione di povertà sociale, economica e culturale del primo dopoguerra - ma senza le medesime speranze nel futuro - perchè si arrrivi a vivere di niente e con niente, ad accontentarci di niente e a morire per niente. Perchè ci sia gente che continui ad avere tutto, a usare tutto (soprattutto il pubblico) come fosse privato e ricatti la povera gente dicendo loro che andrà a spendere altrove i suoi soldi.

Questo Stato non rappresenta nessuno. Non aiuta le aziende e tanto meno i lavoratori. Non aiuta le donne e tanto meno le categorie sociali più deboli. Non aiuta le famiglie e tanto meno le unioni di fatto. Non aiuta nessuno se non chi i soldi li ha e può continuare a spenderli come meglio crede.

Questo Stato - ultimamente lo dico ogni legislatura - è peggio di quello precedente o nella migliore delle ipotesi uguale. E io non capisco perchè le persone non si arrabbino. Siamo italiani, d'altronde, ci lamentiamo ma la poltrona è sempre comoda, la famiglia sempre accogliente e siam semre pronti a perdonare i furbi se son simpatici.

Mi ricorda la lotta dei coltivatori in valle di Susa perchè il torinese che raccoglie le castagne pensa che sian sue perchè non c'è chi gli spara se le prende ma c'è chi ha lavorato tutto l'anno per far cscere i marroni e con fatica. O quelli che qui, al mare, alle sette piazzano dieci brande sulla riva e si presentano alle undici pensando che la spiaggia sia loro perchè è pubblica.

Lo Stato siamo noi. Ci riflettiamo su?

sabato 3 agosto 2013

Amianto

Lo so. Ultimamente lo dico spesso che un libro è bello. Forse sono fortunata. Oppure ho imparato a seguire i saggi consigli. Ma "Amianto" di Alberto Prunetti (AgenziaX, 13 euro) è un bel libro, che tratta senza retorica e, con quella profonda umanità a cui attinge l'amore familiare, un tema duro e difficile.

Oggi lo si sa. Di amianto si muore. Ma quando comincia questa storia, che un po' andrebbe scritta con la S maiuscola perché è una storia vera, Renato non lo sa che di amianto si può morire e come tanti va a lavorarci a stretto contatto. Sarà che Prunetti è della provincia di Livorno, nato in quelle terre in cui anche le tragedie e i lutti sono affrontati con quella vena di ironia che aiuta a sopravvivere, ma questo racconto di vita operaia riesce ad essere profondo e allo stesso tempo leggero come l'acqua che scorre in un ruscello di montagna. Acqua che ti racconta la vita e la morte senza mai smettere di scorrere, guizzare, stagnare quel tanto che basta per far riprendere vita e fiato a chi la abita.

Una vita e una morte che ne racconta tante altre. Scrive Prunetti: "Se poi una scintilla raggiunge una cisterna di gasolio e l'impianto si incendia, sembra sciogliersi anche l'asfalto per le strade di Busalla. Ma loro, i busallesi, sono costretti a vivere con il drago, come i tarantini, come i pimobinesi: sono stretti nella morsa della fabbrica sia fisicamente, sia psicologicamente, perché lo stabilimento dà il ricatto del pane e pretende il diritto di inquinare".

È un ricatto che, oggi, abbiamo imparato a conoscere bene. Sarà l'affinità anagrafica con l'autore ma mi ritrovo in molte descrizioni che fa di due generazioni: la sua e quella dei suoi. Genitori che hanno lavorato una vita per far studiare i figli, per risparmiare loro non tanto la fatica ma un lavoro venefico, che prima o poi li avrebbe uccisi.

É anche un libro tenero, una dichiarazione d'amore verso il padre, che mi ha commosso molto. Un breve stralcio: "Ricordi. Quando camminava ancora un poco, lo portai a fare alcuni giri. Le spiagge bianche di Rosignano, per sentire d'inverno le libecciate poco prima del tramonto, quando le ciminiere grigie della Solvay alle spalle torreggiano dal cielo terso sui residui di bicarbonato industriale e simulano un tropico sterile alla livornese. Il poncino dal Civili vicino alla stazione di Livorno. Una birra leggera al bar del benzinaio, sosta obbligata del camionista, con uovo sodo a sostegno dello stomaco. Una caciuccata vicino ai quattro mori, al porto. La nave Venus incagliata a Caletta, a Castiglioncello, vicino al vecchio Cardellino, il locale in cui aveva lavorato tanti anni prima come cameriere e dove aveva ascoltato Nada cantare, quando furono immortalati dal flash di Nick Vampata. Il cimitero di Rosignano Marittimo, dove sono sepolti i miei nonni paterni e Pietro Gori, il cavalier errante dell'anarchia, col suo monumento che 'l'Apuania operaia dedicò', incluso giro turistico tra le tombe dei vecchi stalinisti livornesi che al posto della croce sulle 'urne de' forti' recano incastonata nel marmo polito la falce e il martello".

È difficile condensare una vita in un libro. Soprattutto la vita di qualcuno che è significato tanto per noi ed è contemporaneamente entrato, vittima e morte bianca, nelle tragiche pagine della storia dell'amianto. Prunetti ci riesce, in punta di piedi ma con forza, lasciando al lettore la speranza che il futuro sia diverso anche se le basi di partenza non sono buone, tra difficoltà, mancanza di lavoro e precariato.
Così chiudo come chiude l'autore, che sembra che la speranza non ci sia ma ci sarà sempre fin quando qualcuno avrà voglia di lottare: "Queste sono le ultime cose che vorrei dirgli: babbo, il sacco di polvere di marmo al secondo piano io ce l'ho portato. Ma la ragioneria l'hanno già saccheggiata i padroni e per noi, figlioli degli operai che hanno provato a salire le scale, non c'è rimasto niente. Ci hanno solo preso per il culo, Maremma schifosa".